sabato 5 dicembre 2015

Immaginare il Sacro

* nota a margine sulle opere esposte da Rosa Scavariello ad Ascea Marina dal 6 dicembre 2015 al 6 gennaio 2016.


La multiforme opera pittorica di Rosa Scavariello presenta un percorso creativo unico e sconcertante, per ricchezza di contenuti, vitalità, libertà espressiva.
A giudicare dalla qualità del lavoro della giovane artista cilentana (Rosa é nata nell'85 a Vallo della Lucania) sembrerebbe un bene che ella sia rimasta, durante almeno un decennio di lavoro quasi incessante e spesso febbrile, il piú possibile distante dal mondo culturale e accademico. In tale isolamento - che tanto contrasta con la puerile smania espositiva di tanti spocchiosi artistoidi in carriera - vi é il segno di un attitudine all'arte che sembrava scomparsa. La Scavariello incarna infatti perfettamente l'idea tradizionale dell'artista/artigiano (ars = techne), idea stoltamente incenerita dalla deriva delle moderne avanguardie. La Scavariello é pittrice, come erano pittori Goya, Picasso o Modigliani; la sua tecnica é parte integrante del significato costituente la sua pittura; materia e concetto sono unità simbiotica, e quando la materia trasborda la tela - penso a certi grumi di colore acceso che lacerano la visione, come se l'immagine sanguinasse da una remota regione dell'anima - ciò avviene per un preciso intento pittorico, che é insieme ragione poetica e metafisica. Davanti a tutto questo si crede che l'incubo delle derive dei "concettuali", dei ready mades, delle inutili alee che popolono di erbacce il sentiero dell'arte (della vita), sia davvero finito, e si preparino approdi creativi assai fertili e interessanti.

Le opere di Rosa Scavariello risultano strettamente imparentate con l'arte sacra orientale di ispirazione vedantica da un lato, e dall'altro, con la tradizione italica delle rappresentazioni, in statue e icone, dei santi venerati dalla cristianità. Tali tradizioni artistiche sono insieme sacre e popolari, e servono la preghiera e l'ascesi. In tali raffigurazioni tradizionali si ha, come nella Scavariello, la consapevolezza e l'esercizio dell' occhio interiore, al fine di creare nell' al di qua segni inequivocabii di un al di lá che si afferma come piú reale di ció che si é soliti chiamare "realtà". Dalla visione interiore correttamente addestrata sgorgano forme che, pur essendo costruite in parte da modelli presi dal mondo esterno, rispecchiano canoni che sono di la del tempo, fissi, rigogliosamente reiteranti.
L'artista cilentana propone dunque segni di un immaginazione che si concreta nel suo statuto. Lungi dal cedere alle seduzioni della fantasticheria, la pittura é qui descrizione di leggi immote: i volti femminili sono tanto austeri quanto calmi e solenni, i fiori si depositano tra linee complesse per mostrarci il candore originario della loro natura; non c'é movimento di figura che non sia insieme gioco e rituale iniziatico; le atmosfere sono contemporaneamente ieratiche e infantili. C'é qui la danza del sacro, animante la saggezza degli esseri. É pittura/strumento. Pittura che concilia il segno della vita con la morte delle cose.



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